Ecco, questa volta, un dettaglio di vita quotidiana e di organizzazione sociale della vita nel villaggio.
Buona lettura!
L'organizzazione del lavoro nel villaggio è molto articolata. Ci sono i lavori propri della Cooperativa: in particolare rivolti alla attività di turismo sostenibile. Accoglienza; accudimento quasi ad personam dei singoli ospiti (come ad esempio guidare escursioni, campi, etc.); lavori inerenti la ospitalità: la cucina, le pulizie, la lavanderia, etc; mantenimento delle strutture riservate agli ospiti, etc. Poi ci sono i lavori comunitari: riguardano innanzitutto le strutture "pubbliche" della comunità: infermeria, scuola, attrezzature per la comunicazione.
Quindi ci sono lavori che stanno a metà strada fra i primi due. Ad esempio: si stanno costruendo nuove malocas (termine araucana, che indica una grande capanna india, in grado di ospitare diverse persone. Ne abbiamo già parlato). Ebbene questa è una iniziativa promossa dalla Cooperativa. Ma in questa attività sono coinvolte altre persone non facenti parte della Cooperativa. È evidente che la costruzione di nuove malocas e l'incremento del turismo equo-solidale interessa tutta la comunità.
Infine ci sono le attività private delle singole famiglie: la pesca (ogni famiglia possiede canoe e piccoli fuoribordo); la coltivazione di mandioca (pianta delle euforbiacee dai cui tuberi si ottiene una farina largamente utilizzata nella alimentazione di tutto il Brasile; il raccolto dei prodotti della foresta (si va dalla frutta al legname: ma vasta è la gamma dei prodotti utili ricavati dalla foresta per il sostentamento del villaggio: cibo, bevande, medicine, etc); l'allevamento di pollame e affini per procurarsi uova e carne; i lavori di artigianato (soprattutto riguardante il legno: qui le possibilità sono infinite, quanto infiniti sono i tipi di legname di cui la foresta è ricca: la maestosa castanheira, che dona frutti simili alle nostre mandorle e un legno pregiato; lo jupati, una palma utilizzata per la costruzione delle case; il mata-matà, dal legno forte e resistente; il miritì, altra palma, alta fino a 50 metri, le cui foglie servono per la copertura delle capanne; il samauma (c'è un villaggio lungo il Rio Jauaperi che porta questo nome), albero gigantesco, da cui viene estratto un buon legname, chiaro e leggero; il durissimo legno della bacaba; etc.
Come è agevole notare non si parla di coltivazioni intensive che in Amazzonia sono un non senso. Ci hanno provato un po' tutti, multinazionali in primis, e tutti hanno fallito. Oramai è appurato che oltre il 90% del suolo amazzonico non si presta a una agricoltura continuativa: le acque dei fiumi amazzonici sono quasi prive di minerali. I terreni in cui la foresta tropicale amazzonica affonda le radici sono in realtà poverissimi di sostanze nutritive. Quindi inutilizzabili per una agricoltura come viene intesa in Occidente. Anche la Cooperativa di Xixuau ha fatto in passato un tentativo di coltivare l'insalata in Amazzonia. Avevano trovato un terreno a circa sette ore di cammino nella foresta. Ma l'esperimento non è riuscito. Allora? Bisogna convivere con la foresta così come è. E a guardar bene, essa dà molto. Come stanno dimostrando i piccoli (solo per la statura) abitanti di Xixuau e della Reserva.
Giuseppe Picone